Ci sono due modi per
affrontare questo tema con degli adolescenti: uno è di tipo emotivo
fatto di casi singoli, di esempi, di storie; l'altro più teorico,
apparentemente più distaccato. Entrambi hanno delle buone
motivazioni a sostegno: per il primo la naturale empatia dei ragazzi,
la loro capacità di compatire in situazioni di concreta
ingiustizia; per l'altro la convinzione che, a prescindere dal caso
concreto, ciò che deve essere interiorizzato è un valore, un
principio riconosciuto come condiviso in seno alla collettività di
cui si fa parte. Propendo per questa seconda modalità perché, come
cercherò di spiegare, non ha le caratteristiche della soggettività.
Il tema si può porre in
questi termini: se da un lato non è legittimo porre i propri valori
come assoluti, dall’altro fino a che punto è giusto spingersi a
riconoscere usanze e leggi che in maniera manifesta contrastano con
le proprie? Fino a che punto siamo disposti a tollerare sistemi
giudiziari che prevedono per esempio la pena di morte o punizioni di
tipo corporale con esplicita violazione dei diritti umani? Fino a che
punto ci può essere tolleranza sulle discriminazioni di genere,
razziale o sociale? Sono temi che riguardano allo stesso modo
l’occidente e l’oriente e che un sistema globalizzato di
relazioni fa emergere con particolare evidenza. Un discorso di questo
tipo porta necessariamente a definire il concetto di diritti degli
individui e in particolare di diritti umani. Le dichiarazioni
ufficiali e gli atti formali, molto spesso disattesi, sono documenti
da tenere in considerazione ma, oltre a ciò, credo si possa proporre
la riflessione che segue.
Fatto salvo il concetto
di relativismo culturale cui si è fatto cenno e cioè l'assunto che
quello che nella nostra società è considerato negativo o
inopportuno può non esserlo per un’altra, esiste uno “zoccolo
duro” oltre il quale non si può andare e che accomuna tutto il
genere umano? A questa domanda, sempre in nome del relativismo, si
può porre la seguente obiezione: come è possibile fissare un limite
e determinare esattamente i confini oltre i quali non ci si può
spingere? Non si limita così la libertà e di conseguenza si viola
un altro diritto?
A costo di operare una
forzatura, alla prima domanda mi sento di rispondere sì, quello
“zoccolo duro” esiste ed è rappresentato dal concetto di dignità
della persona. Quando un comportamento, l’applicazione di una pena,
di un trattamento medico o coercitivo intacca il rispetto che quella
persona ha di sé allora è stato violato il suo diritto
fondamentale. Non riesco a dare altra definizione di dignità
personale se non questa, che non è una interpretazione nominalistica
o puramente descrittiva del concetto ma ne definisce la sostanza:
quando una persona a seguito di una azione di altri percepisce se
stessa più come oggetto che come soggetto allora si può dire che
sia stata privata della propria dignità.
Il punto di partenza
dunque è l' interrogarsi sul significato di umanità e uno dei
principali compiti educativi dovrebbe essere quello di riflettere sui
principi inalienabili che fondano il nostro vivere civile. Sostenere
con convinzione questo principio che deriva dall'essenza stessa
dell'umanità e dalla sostanziale uguaglianza nel percepire e patire
se stessi non è un atteggiamento di esclusione ma il modo per
rispettare anche le persone di culture diverse che con la nostra
entrano in contatto.