Uno spettacolo per insegnare il rispetto
Pubblicato da Alessandra Nardon in Recensioni teatro · Domenica 17 Apr 2016 · 3:45
Tags: recensioni, teatro, spettacoli, educazione
Tags: recensioni, teatro, spettacoli, educazione
È un tema caldo nella scuola e tra i ragazzi ma come tutti gli argomenti che vengono affrontati sull'onda dell'emozione e in maniera generalizzata rischia di essere banalizzato e finire nell'indistinto mediatico. È invece una questione che deve essere trattata con fermezza ma anche con molta attenzione. Mi riferisco al bullismo adolescenziale, fenomeno non nuovo ma che oggi con un utilizzo poco cosciente delle nuove tecnologie si è ingigantito uscendo dal gruppo di pari per diventare argomento condiviso sulla rete con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Trovare i modi e i luoghi per parlarne, dunque.
È il caso di uno spettacolo teatrale dedicato ai ragazzi ma non solo “per ragazzi” messo in scena dalla compagnia “Quelli di Grock” di Milano e proposto in regione dal CSS di Udine, dal titolo ambivalente “Io me ne frego”. Io me ne frego, infatti, è da un lato la tipica espressione del bullo ma può anche diventare lo scatto della vittima che non accetta più di sottomettersi ai soprusi.
In scena due attori che interpretano ruoli diversi attorno ai due principali, quello di Biglia, il ragazzo sottomesso e di Rospo, il bullo e che riescono a coinvolgere il pubblico e a renderlo partecipe di una vicenda che comincia in modo assolutamente normale, si sviluppa da un'amicizia infantile ma che diventa via via sempre più angosciante e meno “normale”.
Lo spettacolo, che si dipana tra continui flash-back e anticipazioni, inizia in un commissariato di polizia. Rospo viene interrogato da una voce fuori campo. L'atmosfera è cupa, carica di tensione, il comportamento del ragazzo è sopra le righe: arrogante e volgare; evidentemente non si rende conto della gravità della situazione e crede di poter continuare con i suoi modi. Le parolacce e le battute scurrili suscitano immediatamente il divertimento nel pubblico di adolescenti. La volgarità decontestualizzata fa sempre ridere. Anche il pubblico non riesce ancora a capire la gravità di quello che sta avvenendo sulla scena. Come per il personaggio rappresentato anche il loro sarà un percorso di acquisizione di responsabilità. All'inizio quel linguaggio spiazza, i ragazzi ridono fragorosamente, tentano un applauso, vengono zittiti. Sono divertiti o imbarazzati? Forse entrambe le cose e ridono per nascondere l'imbarazzo di fronte agli adulti. Da parte sua l'insegnante non è in una condizione migliore, incomincia a fare tutta una serie di considerazioni: si poteva attenuare la situazione? Trovare altre parole? Forse sì ma si sarebbe perso in efficacia. Si dovrà far capire ai ragazzi il senso del linguaggio, contestualizzare... e poi cosa diranno a casa? Domani arriverà il solito genitore a protestare: la scuola sempre sotto accusa. Bisognerà giustificare. Insomma il gusto dello spettacolo sembra si perda un po' all'inizio ma non è così. Mano a mano che la vicenda si precisa la parolaccia non fa più tanto ridere, la frase imbarazzante non imbarazza più per la sua forma ma è ciò che esprime che mette a disagio. Mano a mano che la situazione si complica e il gioco infantile si trasforma in scherzo pesante, dileggio, umiliazione la parolaccia non fa proprio più ridere e si capisce perché c'era bisogno di dirla quella cosa, perché non si poteva rendere una situazione così “anormale” se non con parole forti e “gratuite”. Il percorso di acquisizione di responsabilità che sulla scena si conclude quando le parti dei due si invertono ed è Rospo a trovarsi in uno stato di soggezione e ad aver bisogno di Biglia è completo anche per il pubblico.
“Prof, è uno spettacolo strano... ma ti fa pensare.” Sì, è uno spettacolo “strano” perché fa pensare, perché qui la violenza non è quella di un videogioco sullo schermo né una scazzottata in un film, qui l'atmosfera pesante si respira nelle parole, in quello che significano e in quello che fanno capire e c'è la sensazione di viverle in prima persona quelle emozioni.
Più tardi se ne parlerà a scuola. Domani non ci sarà nessun genitore a protestare, ne sono certa.
Il messaggio è arrivato.